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SICILIOTTI: “IL CITTADINO SIA AL CENTRO DELLA POLITICA ANTI-CRISI”

Giusto un paio di annotazioni a piè di pagina – e la “pagina” in questo caso è il libro sterminato di parole, analisi, commenti che accompagna l’evolversi della crisi finanziaria. Ma le annotazioni sono di quelle capaci di impilare uno sopra l’altro i concetti-chiave. Primo: impedire che la crisi di fiducia nel sistema da fenomeno acuto, e umanissimo, si trasformi in patologia cronica della società. Secondo: impedire che la ricerca e l’attivazione di soluzioni alle emergenze, pur obbligatorie, faccia perdere di vista – o, addirittura, diventi alibi per far perdere di vista – la necessità prioritaria e inderogabile di un intervento complessivo per la tenuta e il miglioramento strutturale del sistema.

A parlare è Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. E, neanche a dirlo, le sue non sono osservazioni meramente teoriche, per quanto di un rigoroso impianto teorico si facciano forti. Né gli basta indicare la strada di analisi ritenuta opportuna alla luce del sapere di questa comunità professionale partita dalla sapienza dei numeri per arrivare alla sapienza trasversale delle strategie di sviluppo. Siciliotti ha in serbo proposte operative. E, come al solito, le mette al centro del confronto, dentro e fuori la categoria.

A Catania, nella sua terza visita da che è stato eletto, ha impiegato nella sede dell’Ordine di via Grotte Bianche alcune ore per confrontarsi con il Consiglio direttivo, il Collegio dei revisori, il Comitato dei Past President, i presidenti delle associazioni di riferimento.

Sua la proposta di una “fiscalità della crisi” da realizzare per affrontare la contingenza avversa dei mercati finanziari, e le sue derivate, in modo sistemico e con l’obiettivo istituzionale (che chiameremmo “missione” se Siciliotti non fosse allergico alle “altisonanze”) di tenere al centro sempre la figura del cittadino.

Figura, questa, che racchiude in sé tutte le possibili declinazioni (consumatore, risparmiatore, contribuente, imprenditore, lavoratore, professionista, soggetto sociale responsabile) ed è, per questo suo significato omnicomprensivo l’unica adatta a indirizzare le politiche attive anti-recessione.

E’ al cittadino che pensa Siciliotti, perché, dice, “siamo tutti cittadini e siamo tutti interessati a ridurre ulteriori rischi e prevenire ulteriori danni”. Di più. “Abbiamo tutti il dovere, ognuno con la propria competenza, ma anche con la propria sensibilità, di dare un contributo per superare questo momento nel migliore dei modi possibili”. Da qui l’accento posto sulla crisi di fiducia, prima che sulla crisi finanziaria. “E’ su una visione di sistema, e su un’organizzazione di sistema, che si regge la possibilità di convivenza civile, proficua e responsabile. E tra gli attori del sistema c’è il mondo del credito. Vederlo come ‘nemico’, o anche solo non comprenderne la funzioni, significa far crollare una delle basi su cui si regge l’intera struttura”.

Una fiscalità della crisi – spiega – è “l’unica leva davvero in mano ai Governi nazionali. Bisogna dare ossigeno fiscale alle imprese. Per questo penso che la norma che limita la deducibilità degli interessi passivi merita di essere rivista, che bisogna dare nuovo slancio al credito d’imposta agevolato per le piccole e medie imprese soprattutto del Mezzogiorno e affrontare in modo serio il tema dei controlli e dell’informativa societaria. Ed è opportuno intervenire anche sulla compensabilità delle ritenute, la possibilità di rimediare a eventuali ritardi o inadempienze nell’invio delle certificazioni, la certezza e la praticabilità dei calendari relativi alle dichiarazioni dei redditi”.

Dunque, sì ad eventuali ‘salvataggi’, se necessari. Sì agli strumenti legittimi per impedire che il costo del denaro si innalzi fino a livelli insostenibili per le ‘tasche’ del sistema. Sì ai sacrifici che necessitano per raggiungere questi obiettivi. Ma ‘sì’ a tutto questo a una condizione. Alla condizione, cioè, che a questi interventi sia collegato l’obbligo, da parte del mondo del credito, di sostenere l’economia reale, quanto e più di prima. Quindi, anzitutto, il tessuto produttivo. Il motivo è presto detto: bloccare l’incidenza (o, almeno, ridurla) della crisi della finanza sull’assetto portante dell’economia, per far sì che l’economia subisca i minori danni possibili e possa continuare a fare il proprio mestiere, che è quello di “garantire alla società non solo di non andare indietro ma anche di andare avanti”.